Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Giulio de Belvis, Direttore UOC Percorsi e Valutazione Outcome Clinici – Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS e Professore associato di Igiene e Sanità Pubblica presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Professor de Belvis, il 25 gennaio alla Camera dei Deputati sarà presentato il manifesto intitolato “Dignitas Curae”, che propone una rivoluzione copernicana dell’approccio alla malattia. Al centro del percorso assistenziale deve tornare ad esserci la persona nella sua globalità di anima, corpo e sentimenti. Si deve curare il malato, non la malattia…

“L’evento del 25 gennaio è un’iniziativa encomiabile e non è un caso che il manifesto, a cui si ispira, abbia come primi firmatari, la massima autorità spirituale del Paese nella figura di Papa Francesco, quella politica in quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oltre che un leader clinico, riconosciuto e celebrato a livello internazionale, come il professor Massimo Massetti. La personalizzazione delle cure è la nuova frontiera della medicina, che combina la personalizzazione delle cure, si pensi alla profilazione genomica, con la centralità della persona. Personalmente, mi occupo da dodici anni della gestione di percorsi e delle performance clinico-assistenziali all’interno del Policlinico Gemelli di Roma. Abbiamo dato vita a oltre sessanta percorsi, alcuni scritti con pazienti stessi, tra cui quelli  in collaborazione con il gruppo del Professor Massetti, che rimettono al centro della cura il paziente, non più etichettato con un numero di matricola e in quanto tale destinatario passivo e senza voce prestazioni”.

Quella prospettata è una nuova configurazione etica dell’assistenza, destinata a rivoluzionare dalle fondamenta quello che comunemente si intende per sanità pubblica?

“Non solo, ma per la prima volta siamo in grado  dimostrare come sia possibile implementare realmente questa nuova cultura assistenziale, contrapposta a quella dello scarto, riferita al paziente emarginato, sofferente e fragile, tema su cui tante volte si è soffermato Papa Francesco. Infatti, il nuovo approccio alla cura, che guarda al malato prima che alla malattia, non è importante solo dal punto di vista etico e sociale, ma anche da quello gestionale ed economico. Provare a declinare il manifesto “Dignitas Curae” nelle nostre realtà organizzative si dimostra anche conveniente. I percorsi di cura umanizzati, quali sono quelli incentrati sulla singola persona sofferente, migliorano la durata e la qualità della vita del paziente, riducono le diseguaglianze nell’accesso alle cure, particolarmente importante in un sistema di devoluzione e regionalizzazione dell’assistenza sanitaria, come è il nostro e, con ogni evidenza, contengono i costi perché riducono sprechi e migliorano l’appropriatezza. Quindi, la strada tante volte indicata da Papa Francesco non è il vicolo cielo dell’utopia, ma è concretamente percorribile. I nostri ospedali possono diventare come quelle che il Papa chiama le “Locande del Buon Samaritano”. Lei ricorderà la parabola del Vangelo che narra la storia di una persona, aggredita e ferita lungo il cammino, che viene soccorsa e poi portata dal buon Samaritano in un luogo che lo accoglie lo soccorre e lo cura. È la manifestazione eterna della carità e della solidarietà umana, nei confronti di chi soffre ed è diventato, suo malgrado, una persona fragile e impaurita. La logica delle locande del buon Samaritano deve tornare d’attualità nei nostri ospedali. Possono rivivere, al tempo d’oggi, luoghi di cura, capaci di funzionare, con quello stesso spirito, con metodi di moderna managerialità. Anche questa non è utopia”.

Che cosa occorre per trasformare i nostri ospedali in rivisitate locande del buon Samaritano?

“Se trasferiamo nella pratica quotidiana le indicazioni e i valori del manifesto intitolato alla “Dignitas Curae”, la prima cosa da fare è dimostrare l’efficacia e l’efficienza nelle cure di tutti i giorni della centralità del paziente.

Possiamo guardare con speranza e fiducia a una nuova sanità, ma abbiamo bisogno di incentivare gli mimpegnativi sforzi organizzativi e gestionali  delle strutture  più virtuose a nuovi sistemi di valorizzazione, perché la leva del finanziamento è assai potente nel promuovere l’applicazione concreta anche nel nostro sistema sistema delle cure personalizzate e centrate sulla persona.

Riscrivere la storia del rapporto fra il paziente e la struttura deputata ad assisterlo, curarlo e, possibilmente, guarirlo non ha alternative, ce lo dice il Manifesto  presentato il 25 gennaio alla Camera dei Deputati.

Se non cambia radicalmente la prospettiva, il sistema sanitario nazionale rischia realmente di collassare perché si scolla dai proprio valori fondanti, che motivano i comportamenti, aldilà dell’insostenibilità dei costi e dell’inadeguatezza delle risorse”.

Il manifesto della Dignitas Curae chiama in causa anche il mondo dei curanti, medici, dirigenti e paramedici?

“Il personale sanitario sta vivendo una crisi d’identità profonda e, a volte, devastante, in tutta Europa. Non si è solo ridotto, e in alcune situazioni drasticamente, il numero dei medici e degli infermieri, ma anche il ruolo professionale di chi è in servizio non è adeguatamente riconosciuto, fra zone d’ombra, critiche e vere e proprie campagne mediatiche. I più giovani, in particolare, fanno sempre più fatica a identificarsi in una professione che la stragrande maggioranza di noi ha scelto, con lo stesso spirito di chi si arruola in una missione. Una nuova “Dignitas Curae” può ridare a tutti lo slancio e il senso dello scopo, a quanti come noi operatori si sentono smarriti nell’ambito di una visione che sminuisce la cura del paziente a mera e meccanica prestazione”.

Possiamo guardare con fiducia a un futuro diverso, con le donne e gli uomini di questo Paese che tornano a essere soggetti di una malattia, e non oggetti smariti di una cura?

“C’è un ulteriore risvolto di fondamentale importanza che voglio sottolineare. I modelli organizzativi e le raccomandazioni della “Dignitas Curae” trovano anche una grande sponda nelle nuovissime tecnologie. Se, all’interno di percorsi assistenziali fondati sulla personalizzazione delle cure, inserisci anche l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione, puoi ottenere una ricaduta importante a livello di tempestività. Al Gemelli come in altre strutture stiamo  dimostrando numeri alla mano come tutto ciò sia possibile, se rimodelliamo l’approccio clinico e i moduli organizzativi, e rimettiamo il rispetto della dignità della persona al centro di scelte cliniche condivise. È una sfida virtuosa, quella che abbiamo davanti, e obbligata, dove non ci sono vinti, ma solo vincitori”.

SaluteIn

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