Intervista esclusiva di Antonello Sette a Marco Onofrj, professore ordinario di Neurologia presso l’Università di Chieti

Professor Onofrj, che cosa si può fare per sconfiggere, o almeno arginare, l’Alzheimer, che è una drammatica piaga sociale, oltre che una gravissima malattia degenerativa?

“Dal punto di vista dei nuovi farmaci, stiamo assistendo a una fortissima pressione, che definirei una vera e propria campagna, rivolta al sistema sanitario nazionale, da parte di alcune aziende produttrici di anticorpi monoclonali, progettati per rimuovere dal cervello dei malati la betamiloide, ovvero la proteina caratteristica dell’Alzheimer. A questa pressione si contrappone, con sempre maggiore evidenza, la contrarietà di una vastissima parte del mondo scientifico, sia americano che europeo. A destare perplessità è soprattutto la sproporzione fra i costi della terapia proposta, che superano i trentamila euro all’anno, e i risultati: Il beneficio, che se ne trae, è quantificabile nel due per cento e, oltretutto, non offre nessuna garanzia di stabilità nel medio e lungo periodo. Dopo sei o sette mesi, tutto ritorna allo stato e alla condizione di partenza. L’inefficacia di questa propagandatissima presunta cura ha finito per rimettere in discussione anche la teoria a monte, che mette in correlazione l’Alzheimer con la presenza di una determinata e anomala proteina”.

Se quella farmacologica non è, almeno al momento, una strada percorribile, su quale altra possiamo puntare, ammesso che esista?

“Le terapie di penultima generazione, quelle che per intenderci sono entrate in funzione a cavallo del Duemila, sono rappresentate da farmaci che migliorano l’attenzione e, di conseguenza, la memoria, ma funzionano per un paio d’anni e solo su pazienti che sono arrivati a uno stato di avanzamento della malattia, non ancora devastante, ma con sintomi già evidenti. Allo stato attuale, l’aumento progressivo dell’età media della popolazione non può, come è inevitabile, non ripercuotersi sulla crescita percentuale dei malati di Alzheimer. Si ammala di Alzheimer una persona su cento a settanta anni, una su dieci alla soglia degli ottanta e uno ogni due a novanta. È una piaga, quella dell’Alzheimer, che rischia di avere ripercussioni di gravità inaudita anche dal punto di vista strettamente economico. Ci si domanda ormai apertamente quale welfare può reggere il peso di una popolazione non solo sempre più anziana, ma con una dipendenza tendenzialmente via via meno sostenibile dall’assistenza pubblica”.

L’Alzheimer è, allo stato, incurabile. Le chiedo se e in che modo è almeno prevenibile? “Lo studio, l’applicazione intellettuale e l’attività fisica sono gli antidoti, in grado di scongiurare, almeno tendenzialmente, la malattia. Sì, anche l’attività fisica, che a prima vista può non sembrare attinente. Va ricordato, a questo proposito, che il movimento corporeo attiva alcuni circuiti del cervello motori e organizzativi e determina un consistente effetto preventivo. Chi ha fatto, e continua a fare, attività fisica si ammala di Alzheimer in una misura percentuale nettamente inferiore. Così come, naturalmente, ha minori possibilità di contrarre l’Alzheimer chi ha coltivato, nel corso della propria vita, le proprie competenze, ha mantenuto sempre viva la voglia di conoscenza ovvero chi è stato, e rimasto, curioso e non si è pigramente ancorato alla routine dell’esistenza. L’Alzheimer è la vita che a mano a mano si svuota. Lo si può impedire riempiendo di vita ogni anno, ogni giorno, ogni giorno, ogni ora della nostra esistenza”.

SaluteIn

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