Intervista esclusiva di Antonello Sette alla professoressa Luisa Bartorelli, geriatra, Presidente dell’Associazione Alzheimer Uniti di Roma

“Le demenze, tra le quali la malattia di Alzheimer è la più frequente e conosciuta, sono diventate ormai una priorità socio-sanitaria.

Il numero complessivo dei pazienti affetti da tale patologia si aggira intorno a un milione e centomila persone. A queste, se ne aggiungono altre novecentomila con un danno cognitivo lieve, che sono a forte rischio di virare successivamente a uno stato conclamato di malattia. Prendendo come riferimento i cittadini italiani ultraottantenni, uno su tre è affetto da demenza. Stiamo parlando di un totale di due milioni di italiani, ma se si tiene conto delle persone coinvolte nella loro assistenza in prima persona, i cosiddetti caregiver, si tratta di almeno il doppio. Un italiano su quindici è quindi coinvolto, direttamente o indirettamente, in una problematica, umana, esistenziale e sociale, che provoca, come effetti collaterali, ansia, senso di impotenza e solitudine”.

Alla professoressa Luisa Bartorelli, che ai malati di Alzheimer ha dedicato competenza e passione, chiedo se l’unico antidoto disponibile per i malati di Alzheimer sia ancora l’amore…

Alcuni farmaci hanno migliorato il quadro d’insieme, ma nessuno aveva in sé la capacità di guarire. Oggi sono anche disponibili, ma ancora a livello di sperimentazione, i famosi anticorpi monoclonali e solo il tempo ci dirà se abbiamo imboccato la strada giusta. Guai, però, ad aspettare passivamente la svolta farmacologica e la soluzione che chiediamo alla scienza. Dobbiamo avere un approccio positivo ai problemi e cercare di rendere più vivibile e dignitosa l’esistenza dei pazienti affetti da Alzheimer, che è la più frequente di tutte le demenze e che colpisce soprattutto le persone più anziane. Le cure, che possiamo approntare, comprendono tutta una serie di provvedimenti e direttive, che fanno capo non solo alle istituzioni, ma anche ai familiari e all’intera società civile”.

Quali sono le linee guida che siamo chiamati ad osservare e mettere in pratica nell’immediato?

“Sono state già definite linee guida dall’Istituto Superiore di Sanità, basate su evidenze scientifiche internazionali sulle quali programmare attività multiprofessionali, cliniche, assistenziali e psicosociali.

Sul territorio esistono poi progetti importanti dal punto di vista sociale, come quello delle cosiddette comunità o città amiche delle persone con demenza.

È un’opera di sensibilizzazione a vasto raggio, circoscritta per ora ad alcune città di piccola e media dimensione, che mira a coinvolgere l’intera cittadinanza, dal sindaco, alla giunta comunale, dalla polizia ai vigili del fuoco, dalle parrocchie ai farmacisti, dai commercianti agli studenti dei licei, chiamati tutti, ciascuno nel proprio ambito, a capire il mondo della demenza, a rimuovere da sé ogni forma di paura e a coltivare un approccio positivo nei confronti di persone, che troppo spesso subiscono il contraccolpo doloroso della solitudine e dell’isolamento sociale. Come Associazione Alzheimer Uniti di Roma, abbiamo sperimentato con successo questo coinvolgimento a trecentosessanta gradi ad Aprilia, una cittadina alle porte di Roma, che conta più di settantamila abitanti e non è, quindi, neppure tanto piccola”.

È un modello esportabile?

“Siamo stati da più parti sollecitati a sperimentarlo anche a Roma, che è una città così grande e tentacolare da rendere titanica l’impresa. Non ci siamo, però, arresi e abbiamo individuato un quartiere a forte identità e senso di appartenenza come la Garbatella, iniziando un percorso di sensibilizzazione che sta dando i suoi frutti. C’è stata una mobilitazione virtuosa e proficua, che ha coinvolto il municipio, che ci ha dato il suo appoggio incondizionato e si allargherà da qui a poco a tutte le categorie suddette che possono essere interessate, a partire dai Carabinieri, che molto spesso incontrano le persone con demenza per strada e devono avvicinarsi a loro nel modo più giusto ed efficace”.

L’isolamento sociale e la solitudine, che le persone affette da demenza subiscono, sono la piaga aggiunta di una malattia di per sé devastante?

“È proprio così e c’è a confermarlo un dato incontrovertibile. Fra le persone scomparse, che hanno più di sessantacinque anni, sono tantissimi i malati di Alzheimer. Non a caso, come Associazione Alzheimer Uniti, facciamo parte della Consulta del ministero degli Interni, che si occupa degli scomparsi e stiamo, a questo proposito, mettendo a punto alcuni progetti specifici, che siano in grado di contrastare questo doloroso fenomeno. Un nostro progetto coinvolge, nello specifico, i pronto soccorso degli ospedali, circoscritti, per il momento, al Sant’Eugenio e al Campus Bio-Medico di Roma, per approntare un’accoglienza particolare e programmata a chi, trovandosi molto spesso da solo in tale stressante circostanza, può manifestare disturbi del comportamento anche gravi, sino ad arrivare alla recente tragedia di una persona che è deceduta, dopo essere fuggita da un pronto soccorso”.

Professoressa Bertarelli, arriverà un giorno il farmaco in grado di prevenire e guarire l’Alzheimer e la demenza?

“Passerà ancora tanto tempo. Ci vorranno ancora anni di studi e di ricerca. Noi dobbiamo essere positivi, senza fossilizzarci nell’attesa. Possiamo mettere in pratica strategie finalizzate a identificare quei fattori di rischio, che sono risultati modificabili, per far sì che la malattia insorga più tardi o si allontani del tutto.

 In realtà non esiste la cura, ma le cure, tante cure diverse, che messe insieme possono sia garantire il mantenimento di una qualità di vita accettabile alla persona colpita e alla sua famiglia, sia rallentare il decorso della malattia. Sono risultati parziali, che dobbiamo nonsolo alla scienza medica, ma anche, se non soprattutto, alla società civile. I pazienti affetti da Alzheimer e da demenza non vanno isolati e respinti, ma accolti come cittadini a pieno titolo in ogni comunità e in ogni  occasione, mantenendo dignità e diritti. Dobbiamo quindi ascoltarli. Dobbiamo capirli. Dobbiamo continuare ad amarli, giacché, come Lei diceva, l’amore fa parte delle cure.”

SaluteIn

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