“Intervista esclusiva di Antonello Sette a Giovannella Baggio, Professore Ordinario dell’Università di Padova e Presidente del Centro Studi Nazionale su Salute e Medicina di Genere

Professoressa Baggio, lei, che per competenza, autorevolezza, e passione dedicata, è universalmente considerata un punto di riferimento di fondamentale importanza per il nuovo e vasto mondo della medicina di genere, mi può spiegare perché è così importante prendere in considerazione le differenze fra donne e uomini in medicina?

“Più che importante, è fondamentale, perché la fisiopatologia, la clinica (sintomi delle malattie) e la farmacologia sono molto diverse fra donne e uomini. Sono moto diversi non solo i sintomi delle malattie, ma anche i farmaci da somministrare alle donne e agli uomini e gli effetti collaterali collegati alla loro assunzione. La medicina negli ultimi cento anni ha compiuti passi da gigante ed è progredita in maniera eccezionale, ma non si è mai tenuto conto delle fondamentali differenze legate al sesso (animali da esperimento) e al genere. Questo gap pazzesco e incredibile va al più presto colmato. È un gap, di cui hanno pagato le conseguenze non solo le donne, ma anche gli uomini”.

Mi può fare un esempio concreto delle conseguenze di questa sottovalutazione delle differenze di genere?

“L’esempio più conosciuto ed eclatante riguarda la cardiologia. I sintomi dell’infarto nella donna sono molti diversi da quelli dell’uomo. La donna può non avvertire il dolore toracico tipico, ma solo un po’ di stanchezza e di affievolimento del respiro, oppure stanchezza, nervosismo, o anche male all’addome, o al collo o alla schiena con la conseguenza di essere molto spesso lasciata in attesa per ore nei pronto soccorso degli ospedali perché classificata come codice verde, anziché essere immediatamente avviata ai reparti specialistici.

Un esempio relativo al sesso maschile è, invece,  quello dell’uomo che cade e si frattura il femore, ebbene dopo una frattura del femore l’uomo ha una probabilità di morire quattro volte superiore a quella della donna. Si pensa, erroneamente, che l’uomo non abbia l’osteoporosi, e che non sia, quindi, necessario tenerla sotto controllo, mentre è, al contrario, accertato che sia una possibilità molto concreta al di sopra dei 65 anni, con una percentuale di mortalità post frattura nettamente più alta”.

Neppure i farmaci rispettano le differenze di genere?

“Le medicine sono sempre state sperimentate negli animali di sesso maschile e negli uomini. Da questa scelta deriva non solo una loro diversa efficacia nella donna, ma anche effetti collaterali che sono molto spesso più rilevanti sulle donne. Credo che tutta la farmacologia sia da rivedere. Naturalmente questa riconsiderazione delle medicine sulla base del genere fa molta paura al mondo industriale, perché si potrebbe arrivare, e io spero che accada presto, a cambiare le linee guida, che dovranno rispettare i medici nella prescrizione dei farmaci ai loro pazienti, tenendo finalmente distinti le donne e gli uomini”.

Anche il virus del Covid ha provocato effetti diversi, in ragione del sesso di appartenenza?

“La differenza fra donne e uomini nei confronti del contagio e della malattia è stata, e continua a essere, enorme. La donna è più facilmente contagiata dal Covid, ma ha un rischio di morte nettamente inferiore. Il virus colpisce gli uomini in forme più gravi e provoca un maggior numero di vittime al loro interno. I motivi di questa palese differenza sono almeno tre. Innanzitutto, va segnalato che il coronavirus entra molto più velocemente nella cellula dell’uomo rispetto a quella della donna. Il secondo motivo attiene al sistema immunitario, che nella donna è più forte. Un vantaggio immunitario che, per inciso, la donna paga a caro prezzo, perché è per questo stesso motivo esposta a un maggior numero di malattie autoimmuni. Il terzo motivo è comportamentale. Le donne sono generalmente più diligenti nel rispetto delle regole sanitarie, dalle mascherine al distanziamento sociale e al lavaggio delle mani”.

Ascoltando quello che lei dice, una domanda sorge spontanea. La medicina esiste da migliaia di anni. Come è possibile che solo oggi ci si accorga che non può essere la stessa per le donne e per gli uomini?

La sua domanda è appropriatissima. La risposta non è univoca. C’è storicamente una ragione meramente sociologica. L’uomo era considerato il sesso forte e, conseguentemente, trattato come tale. Un altro motivo è legato all’aspettativa di vita, che sino a cinquant’anni fa era di venti anni inferiore quella attuale e non ci era minimamente accorti quanto la donna sviluppasse malattie simili a quelle dell’uomo. Si pensava, ad esempio, che le donne non potessero essere colpite da un infarto, mentre oggi sappiamo che, all’opposto, l’infarto del miocardio è la loro prima causa di morte. Un’altra ragione della mancata ricerca farmacologica sulla donna è prettamente economica. Fare sperimentazione sulla donna, che ha una ciclicità fisiologica, è non solo scomodo, ma anche dispendioso. Per fare un esempio banale, se devo analizzare il valore di una glicemia, per l’uomo tutti i giorni vanno bene. Per le donne bisogna, invece, tener conto della fase del ciclo mestruale in cui si trovano. Ed è per un analogo motivo che la sperimentazione farmacologica sugli animali è sempre stata condotta su cavie di sesso maschile; la ricerca sui maschi è meno cara!

Le donne vivono di più?

“Stando ai dati Istat del 2022, questo è un dato incontrovertibile. La media nazionale è di 81 anni per gli uomini e di 85 per le donne. È un dato, però, che va letto attentamente e necessita di una considerazione a latere. L’uomo, quando ammala, muore più facilmente. La donna, invece, più che continuare a vivere, sopravvive! Ha, sì, un vantaggio numerico di oltre quattro anni di longevità, ma sono anni in più di vita ammalata e disabile. Una disabilità che è dovuta principalmente alle conseguenze delle malattie cardiovascolari (scompenso cardiaco), alla demenza (che per 2/3 è donna!) e all’alterazione dello scheletro osseo (artrosi in primis, cui consegue la sedentarietà, il sovrappeso e il peggioramento della qualità di vita).

Quali sono le prospettive future della medicina di genere?

“Credo che per quanto riguarda l’Italia il futuro sia tendenzialmente roseo. Abbiamo una legge varata già nel 2018, a cui sono seguiti i decreti attuativi e un grande lavoro congiunto sia a livello nazionale che regionale. E assume grande rilevanza il decreto congiunto sottoscritto lo scorso 11 aprile dai ministri della Sanità Orazio Schillaci e dell’Università e della Ricerca Scientifica Anna Maria Bernini, sulla chiamata alla formazione a tutti i livelli: università, regioni, aziende ospedaliere, associazioni scientifiche e ordini professionali. Una chiamata, che è anche un richiamo a un allineamento a trecentosessanta gradi, per far sì che non coesistano più Regioni virtuose come la Toscana, ed altre che arrancano a notevole distanza. Il percorso è tracciato. Si tratta di non perdere più tempo dopo tutto quello che si è buttato al vento per secoli. Dopo una lunga storia di discriminazione e di annullamento, più o meno interessato, delle specificità e delle aspettative di genere nell’universo mondo, sin qui prettamente maschile, della medicina”.

SaluteIn

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