Per lungo tempo considerata una “Cenerentola” del settore, la chirurgia plastica del padiglione auricolare – l’otoplastica – sta acquisendo una rilevanza sempre maggiore: si dedica infatti alla correzione della forma delle orecchie, in primis delle cosiddette “orecchie a sventola”, motivo di disagio psicologico per moltissimi adulti e bambini. Si tratta di un intervento chirurgico estetico attorno al quale si sono sviluppate nuove tecniche ed esistono tanti metodi a confronto. Se ne dibatterà a lungo il prossimo 30 settembre a Padova in occasione del corso ECM “Le otoplastiche estetiche: metodi a confronto”, diretto dal Dott. Luca Siliprandi e patrocinato dall’Associazione Italiana di Chirurgia Plastica Estetica (AICPE). In questa intervista esclusiva per SaluteIN il Dott. Siliprandi ci dà alcune interessanti anticipazioni.

Innanzitutto in cosa consiste esattamente l’otoplastica estetica e quali sono gli obiettivi principali di questo intervento chirurgico?

Si tratta di un intervento chirurgico che viene eseguito di norma in anestesia locale a regime ambulatoriale ed ha diverse possibili finalità, variabilmente combinate, quali quella di avvicinare maggiormente i padiglioni al capo – se eccessivamente sporgenti –  correggerne possibili deformità o ridurne le eccessive dimensioni.

Durante la consulenza pre-operatoria, come si valuta se un paziente è un candidato adatto per l’otoplastica estetica? Quali aspetti fisici e psicologici vengono presi in considerazione?

Partiamo da questa premessa: un paziente che si rivolge ad un professionista per questo tipo di correzione chirurgica ha sempre un problema psicologico alla base, che lo spinge in questa direzione. Per questo bisogna innanzitutto capire se le sue motivazioni sono compatibili con la programmazione di un intervento chirurgico oppure no. Il primo approccio è dunque importantissimo perché il paziente si renda conto che questo tipo di intervento potrà o meno cambiargli la vita; inoltre dovrà avere le giuste aspettative, ovvero delle aspettative realistiche. Mi riferisco a tutti quei casi in cui i pazienti mirano alla perfezione, alla correzione al millimetro: in questo caso li sconsigliamo di proseguire nel percorso. Non si può pensare di dare ad un paziente un padiglione “perfetto”, ma piuttosto una forma naturale, una simmetria, una giusta distanza dal capo. Ad oggi non esiste una differenza nell’incidenza tra maschi e femmine. Esiste una prevalenza in una fascia d’età di soggetti giovani, a volte addirittura vengono bambini con genitori, ma non rappresentano la maggioranza dei casi, anche se comunque costituiscono un numero non indifferente.

E quali sono le diverse tecniche utilizzate? 

Fondamentale è sapere che possono esserci diverse tecniche che mirano ad ottenere lo stesso risultato, ma è importantissimo formulare un progetto già dal momento della prima visita a seguito di misurazioni precise e attente osservazioni. Una diagnosi corretta e un progetto operatorio preciso sono le migliori premesse per un buon risultato. Più spesso l’incisione cutanea viene eseguita a livello del solco retro-auricolare – che evita l’esposizione alla vista della cicatrice – e il modellamento della cartilagine del padiglione eseguita mediante suture talora precedute da incisioni. Secondo i casi, può essere associata l’asportazione di uno spicchio di conca.

Più raramente può essere eseguito l’approccio anteriore per ridurre le dimensioni del padiglione auricolare, come ad esempio nella la tecnica di “Argamaso” per la riduzione delle eccessive dimensioni dei padiglioni, ancora poco conosciuta in Italia nonostante i miei sforzi e per questo oggetto di chirurgia in diretta e discussine in seno al prossimo convegno.

Ecco veniamo proprio all’appuntamento del 30 settembre a Padova: lei è il Direttore Scientifico del corso ECM AICPE “Le otoplastiche estetiche: metodi a confronto”. Che argomenti verranno trattati e perché è importante per la formazione continua per un chirurgo?

La chirurgia del padiglione auricolare è sempre stata considerata una chirurgia minore, una sorta di Cenerentola, ma vogliamo sfatare questo mito: abbiamo pazienti molto esigenti che desiderano avere ottimi risultati, soprattutto il paziente maschio giovane è estremamente pignolo ed esigente. È il terzo corso che organizzo sul tema perché se ne parla poco: partiremo dalle basi ovvero dai rudimenti che riguardano l’anatomia, la prima diagnosi, come si visita il paziente e cosa si deve valutare per fare un progetto corretto, fino a spiegare le tecniche alternative in base alla finalità che si vuole raggiungere. Naturalmente ci occuperemo anche delle possibili complicanze, che come per ogni intervento possono subentrare. È importante esserci per due motivi: verranno tracciate nuove tecniche ed è quindi giusto che il chirurgo aggiorni il proprio bagaglio professionale; sarà poi un momento di confronto con i Colleghi, con l’esperienza altrui ed io credo molto nello scambio reciproco. La finalità di questi corsi ECM non dovrebbe mai ridursi banalmente all’acquisizione di crediti formativi in campi avulsi dal proprio ambito professionale, come spesso accade per ottemperare agli obblighi ministeriali; essa ma dovrebbe invece sempre essere quella di aggiornarsi e conoscere meglio il campo nel quale si opera. Dovrebbe muoverci sempre e solo il desiderio di migliorarci e perfezionarci, metterci in discussione: i corsi servono a questo. Quello del 30 settembre sarà un appuntamento informale, con due interventi chirurgici in diretta e con i chirurghi che interloquiranno con l’audience con discussione “in diretta”. I convegni chirurgici dovrebbero essere sempre molto pratici e non limitarsi alle nozioni accademiche per questo il nostro obiettivo sarà mettere qualsiasi chirurgo, anche il più giovane, nella condizione di arrivare alla fine del corso con le idee molto chiare.

Tornando all’otoplastica: quale convalescenza dev’essere considerata? Esistono potenziali rischi o complicazioni? 

La prima convalescenza normalmente dura alcuni giorni, 6-7 circa, con bendaggio cefalico che serve ad evitare traumi, per contenere i padiglioni senza costringerli. Chiaramente può essere un momento un po’ faticoso. In seguito di notte si applica una benda elastica per evitare traumi da cuscino per circa 3 settimane. Il risultato post operatorio si apprezza circa 2-3 mesi dopo, quando il gonfiore è regredito. Per quanto riguarda le possibili complicazioni, esse sono in genere sempre t risolvibili: ricordiamo ad esempio l’ematoma, che deve essere drenato o aspirato, oppure l’infezione che deve essere tenuta sotto stretto controllo perché può portare alla distruzione della cartilagine. Ecco perché è buona norma che il chirurgo sia a disposizione del paziente nel post operatorio. Evenienza non sempre realizzabile nella “chirurgia plastica turistica” laddove pazienti  si recano all’estero per  spendere meno per un’operazione, ma poi sono lontani dal chirurgo e questo comporta un rischio in caso di complicanze. Avere un rapporto diretto e di vicinanza con il professionista è certamente fondamentale.

SaluteIn

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