Intervista esclusiva di Antonello Sette a Massimiliano Del Ninno, dirigente medico dell’Unità operativa complessa di otorinolaringoiatria dell’Ospedale San Camillo-Forlanini di Roma

“Ho scelto di fare l’otorinolaringoiatra perché è un esploratore del corpo umano e degli anfratti chirurgici neuroanatomici più complessi. Secondo l’accezione popolare, l’otorino è quello che dà le gocce per il mal d’orecchio. La banalità di questo approccio va, più che corretta, rovesciata. L’otorinolaringoiatra ha a che fare con i distretti anatomici più complicati in assoluto, dall’orecchio che non a caso veniva definito dagli antichi greci, e per certi versi lo è ancora, un labirinto, sino ai distretti del collo, che ci possono condurre, per via anteriore, addirittura sino alla colonna vertebrale, come d’altronde facciamo ormai abitualmente di comune accordo con i nostri dirimpettai neurochirurghi. La mia disciplina specialistica coinvolge, per chi non lo sapesse, quattro dei cinque sensi umani. L’idea dell’esploratore chirurgico mi ha, sin da subito e più di tutte le altre, affascinato. Non ho fatto altro che seguire il mio istinto”.

Massimiliano Del Ninno ha scelto di fare l’otorinolaringoiatra per una passione quasi ancestrale. Vive la sua specializzazione, come l’ultima conferma di quanto avevano scoperto gli egizi svariate migliaia di anni fa. Al cervello si può arrivare attraverso il naso. Un mondo nuovo si apre alla chirurgia endoscopica otorinolaringoiatrica. Un mondo affascinante, perché si ricongiunge, come in un miracoloso passaggio di testimone, con l’antico.

“La chirurgia endoscopica mininvasiva ci ha aiutato moltissimo nella soluzione delle patologie naso-sinusali. È un tipo di chirurgia che nasce per la gestione delle sinusiti croniche e iperplastiche e delle poliposi nasali, ma che oggi si applica con sempre maggiore frequenza anche alle patologie neoplastiche del distretto naso-sinusale. Una volta alcune patologie richiedevano trattamenti altamente aggressivi con interventi transfacciali e risultati funzionali ed estetici tutt’altro che confortanti.

 Oggi, invece, con la chirurgia endoscopica delle sonde ottiche l’approccio è infinitamente meno invasivo e riusciamo ad avere la stessa radicalità di intervento nelle patologie benigne e anche, in alcuni casi, in quelle propriamente oncologiche. È un avanzamento tecnologico di enorme portata, con altrettanto enormi benefici per il paziente perché, a parità di risultati, l’invasività e, quindi, la morbilità e la sofferenza del decorso postoperatorio sono infinitamente inferiori”.

In quali zone è possibile nello specifico far ricorso alla chirurgia endoscopica?

“Il distretto prevalentemente interessato è quello naso-sinusale e, quindi, le fosse nasali e i seni paranasali a esse collegati, ma, lo voglio ripetere perché è forse, e senza forse, l’aspetto più importante, abbiamo finalmente superato alcune barriere anatomiche, che una volta erano dei tabù chirurgici e siamo arrivati al basicranio, anteriore e laterale. Ci si addentra, quindi, sempre più in territori di competenza neurochirurgica, tant’è che spesso e volentieri alcune patologie del basicranio o, per esempio, quelle dell’ipofisi, si operano in équipe combinate, dove l’otorinolaringoiatra ha lo scopo e la missione di condurre il neurochirurgo sino al pavimento sellare, dove ha sede l’ipofisi e di lasciargli, solo a quel punto, campo libero. Questa tecnica ha aperto, come può capire, la possibilità di collaborazioni tecnico-chirurgiche molto importanti e fruttuose, soprattutto con i neurochirurghi, che sono tradizionalmente i nostri vicini di casa. Naturalmente non ci accontentiamo dei traguardi, che abbiamo tagliato sinora, ma vogliamo allargare il nostro raggio di azione, ovviamente con i minori effetti collaterali possibili. La riduzione dell’invasività chirurgica è una sorta di imperativo categorico della contemporaneità, che facciamo nostro, per quanto riusciamo e ci è possibile”.

Quale è l’intervento più complesso e complicato che ha eseguito?

“L’intervento più difficile è stato quello di natura neurochirurgica effettuato su un giovane di 33 anni, affetto da una neoplasia del clivus, che è una zona molto delicata, compresa fra le osse nasali e la base del cranio. Abbiamo asportato il cordoma, che è una neoplasia sostanzialmente benigna, ma altamente  invasiva per tutti i tessuti circostanti. Io ho condotto il neurochirurgo sino al clivus per via transnasale e, quindi, senza tagli o approcci esterni e poi ci ha pensato lui ad asportare la massa neoplastica. Ormai operiamo in tandem quasi quotidianamente neoplasie del pavimento sellare, tumori e adenomi dell’ipofisi, che sino a non troppo tempo fa necessitavo di interventi esterni. Immagini che cosa poteva significare raggiungere il centro del cervello passando dall’esterno e non per via transnasale, come facciamo oggi. In realtà, mi preme dirlo perché credo sia in qualche modo stupefacente, non abbiamo scoperto nulla, ma solo ridimensionato e adattato ai nostri fini quello che già facevano anticamente gli egizi nella mummificazione, quando asportavano preventivamente la materia cerebrale passando non dall’esterno, ma, proprio come facciamo noi, internamente dal naso”.

SaluteIn

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