Intervista esclusiva di Antonello Sette a Michela Pellegrini, giornalista, Responsabile Relazioni Esterne e Comunicazione della Federazione Pugilistica Italiana

“Quella del 2011 era la mia seconda gravidanza. La prima non era andata a buon fine. Una gravidanza, anche questa, complicata per vari problemi insorti sin dall’inizio. Perdo sette chili in poco tempo e rimango in casa per cinque mesi, nella speranza di evitare di perdere anche questa volta il mio bambino. Poi, purtroppo, alla ventiquattresima settimana, all’improvviso la situazione precipita.  Ho delle perdite ematiche. I miei genitori mi accompagnano all’Ospedale San Pietro dove mi dicono di non preoccuparmi. Le perdite, però, aumentano vistosamente. A distanza di una settimana, torno al San Pietro con l’angoscia nel cuore. Ho la fortuna di capitare nelle mani di una dottoressa brava e scrupolosa. Mi visita, è visibilmente allarmata e mi dice: “Lei da qui non può uscire. La situazione non è chiara. Dobbiamo capire”. Il terrore di quella notte d’attesa, trascorsa su una brandina, perché un posto letto non c’era, in balia di un destino che non riuscivo ancora a decifrare, mi è rimasto dentro, come un incubo ingiusto e repentino, pensando al bambino che avevo paura di perdere”.

Michela Pellegrini, giornalista e autrice, racconta senza rimozioni, con la voglia di vivere e di stupirsi che le si legge negli occhi sin quando era bambina, la storia di un miracolo, dove non ci sono madonne che appaiono o piangono, sicuramente una grande fede, ma solo medici straordinari e la volontà di andare oltre la logica, la disperazione, la crudeltà del destino. Michela Pellegrini non si è chiesta “perché proprio a me”, ma ha pensato che era stata chiamata a combattere con tutte le sue forze per la vita. Innanzi tutto del suo bambino. Poi, semmai, anche di se stessa…

“Il giorno dopo mi trasferiscono nel Reparto di Ginecologia. Intorno a me c’erano le emozioni, l’attesa, la festa della vita che nasce. Io, invece, stavo vivendo un brutto sogno. Ricordo quella mattina per il disegno che mi regalò, vedendomi piangere, una bambina, che era lì per la nascita della sorellina. Un disegno bellissimo, che ancora tengo in un raccoglitore, dove conservo tutte le immagini, sin dalla prima ecografia, che ne è la copertina. La bambina mi dice che aveva disegnato quel castello colorato per me, perché per lei era magico. Ricordo anche che di fronte al letto c’era un crocefisso di legno che spiccava su una parete bianca. Sembrava che mi dicesse: ‘Fatti forza! Ti sta arrivando una brutta notizia”. Mi fanno la biopsia. La sentenza dell’esame istologico è drammatica. Avevo un adenocarcinoma invasivo al canale cervicale dell’utero. La prima reazione è di terrore assoluto, ma non per me. Non so ancora perché, ma non ho pensato a me neppure per un istante. Ho pensato subito al bambino, a proteggerlo. Era lui, sin da subito, l’obiettivo di un’impresa apparentemente impossibile. Per me come per mio marito”.

Poi, che cosa accade…

“Era una situazione anomala, troppo grande e complicata per quell’spedale. Grazie all’intercessione della mia splendida famiglia, ho conosciuto il Professor Pierluigi Benedetti Panici, il luminare che avrebbe capovolto due destini, il mio e quello di mio figlio. E’ il Direttore del Dipartimento Ginecologia, Chirurgia e Oncologia del Policlinico Umberto I. Una persona fantastica, sia a livello umano che professionale, a cui mi sono affidata completamente. Vengo sottoposta a una lunga serie di interventi. Una prima conizzazione non ha avuto l’esito sperato. Il professore mi disse che purtroppo il tumore era avanzato, e data la situazione, non era neppure possibile stabilire sino a che punto. Mi disse che bisognava seguire il protocollo sperimentale che prevedeva un ciclo di chemioterapia. Prima di me l’avevano seguito solo due o tre mamme in Italia. Ero sconvolta, perché ho pensato che la chemio potesse essere deleteria per il bambino, ma mi ero aggrappata a lui, come all’unica ancora di salvezza e, senza pensarci un solo attimo, ho acconsentito, supportata da mio marito e dai miei cari. I tre giorni di chemio hanno attraversato le feste di Natale: il primo il 23 dicembre, il secondo il 30 e l’ultimo il 9 gennaio. Terminata la chemioterapia, il professore mi promise che avrebbe fatto nascere il bambino, ma dovevo collaborare e fare tutto quello che mi diceva. Ho seguito alla lettera ogni sua indicazione: dieta, farmaci, vitamine e l’obbligo di non muovermi dal letto. Alla trentacinquesima settimana, ovvero all’ottavo mese, mi ha sottoposto a un intervento complesso e difficile. Prima ha fatto nascere mio figlio con un taglio cesareo e un’anestesia, ridotta al minimo possibile per consentirmi di sentirlo piangere. Ricordo ancora la voce e le parole del professore: “Tranquilla, è nato ed è sano” e l’infermiera che, subito dopo, mi disse: “Ora tocca a te”. Ero felice e pronta a tutto. Nulla mi faceva più paura. Mi hanno riaddormentato per procedere a un’isterectomia radicale, a un’annessectomia bilaterale e ad una linfoadenectomia pelvica sistematica bilaterale. In pratica mi hanno tolto l’utero e parte del parametrio, tutto il tessuto che si trova intorno, andando oltre la zona specifica del carcinoma, per scongiurare ogni possibile sorpresa futura”.

E poi Michela…

“E poi ricomincio a vivere, o meglio ricominciamo a vivere, io e la mia famiglia. Poi ci sarebbe stata l’ansia per i controlli dei cinque anni. Quelli a cui parallelamente si è sottoposto anche Matteo, nel timore che la chemioterapia potesse avergli procurato anche un minimo danno. Ora è tutta alle spalle. Mio figlio ha undici anni ed è, come mi dicono tutti, un bambino straordinario. Insieme abbiamo vinto un match, che sembrava impossibile, vinto perché alle spalle c’era un team invincibile: la mia meravigliosa famiglia, allargata a tutti gli amici, compresi quelli della Federazione Pugilistica Italiana. Il grande amore dei miei genitori. E di mio marito Cristiano, senza il quale non ce l’avremmo mai fatta e che ha sempre creduto che potesse finire come è finita. Con un miracolo di fede e della medicina. Matteo e io siamo proprio due miracolati, oggi due fighters, che vivono felici e contenti, come si dice alla fine delle favole”.

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