Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor  Daniele Spirito, specialista in chirurgia plastica a Roma e Milano

“Tutta la chirurgia è diventata più sicura. Le regole oggi sono persino eccessive ma ben vengano, se questo è il prezzo da pagare per la sicurezza. C’è naturalmente da mettere in conto l’alea dell’aspetto manuale e, per così dire artigianale, ma negli ultim 30 anni sono stati fatti passi da gigante. Si rischia infinitamente di meno, anche perché c’è tutta un’organizzazione intorno al chirurgo, che non può e non deve assolutamente fallire”.

Della sicurezza Daniele Spirito ha fatto un cavallo di battaglia e una priorità morale, fin da quando ha scoperto, per pura coincidenza,  la sua vocazione, frequentando da studente un ambulatorio di chirurgia plastica dell’Ospedale San Giovanni di Roma. Gli chiedo, per restare sul tema, se il chirurgo plastico è abilitato ad  accettare indistintamente tutte le richieste o deve sapere, all’occorrenza, dire di no. Non trova professore che troppe volte, in nome dell’eterna bellezza, si esageri?

Per carità, non siamo al mercato e il punto da mettere a fuoco  è l’eterna bellezza che, a differenza dell’eterna giovinezza, è possibile. Il chirurgo deve dire no, quando è necessario, ma non è semplice. Spesso ci troviamo di fronte a un’aggressività che non è facile gestire, ma questo non può essere, in nessun caso, una giustificazione. Quando lo riteniamo inevitabile, dobbiamo fare il possibile e l’impossibile  per dire, forte e chiaro, no, non si può e non si deve fare”.

La chirurgia estetica si rivolge ancora prevalentemente alle donne?

“A contattarci sono ancora quasi solo donne e questa, per certi versi, è una fortuna, perché gli uomini sono mediamente meno disponibili e più complicati”.

Quali sono le tipologie di donne che fanno ricorso alla chirurgia estetica?

“Io distinguo le donne dalle femmine. Le femmine sono quelle che non escono mai di casa senza qualche centimetro di tacco e un filo di trucco. Per loro curare l’aspetto esteriore in ogni minimo particolare è un’esigenza insopprimibile. Le donne si rivolgono, invece, al chirurgo plastico solo per una necessità psicologica insormontabile e spesso tardiva. Il loro impatto con noi chirurghi plastici è completamente diverso.

Quali sono gli “aggiustamenti” estetici più di moda e quali i più strani?

“Oggi la maggior parte delle donne chiede occhi felini e orientaleggianti, in un modo, lo voglio dire, spesso eccessivo. E, poi, naturalmente, labbra carnose, naso piccolo, zigomo ampio. È il triangolo della gioventù. Quello con cui si nasce e che, a mano a mano, si gira con la conseguente maggiore ampiezza della mascella e il minor spessore della parte alta”.

Quale è, in sintesi, il modello di donna imperante?

L’icona è la celebrazione di una donna, che vuole a tutti costi imitare la silhouette delle mannequin, secche e allampanate per esigenze professionali. Non è, a mio avviso, questo il modello di una donna, che aspiri ad apparire femminile e sensuale, ma è quello dettato, nudo e crudo, dagli interessi commerciali. Gli stilisti fanno sfilare solo donne magrissime, perché è l’unico modo per attirare l’attenzione sull’abito e non sull’indossatrice. È un modello di donna mercantile che, oltretutto, non tiene minimamente conto dei gusti degli uomini, che prediligono da sempre corpi femminili ben modellati e meno eterei”.

Quale è l’intervento di chirurgia ricostruttiva più straordinario, che ha eseguito nel corso della sua carriera?

“Ricostruire riparando un danno enorme, quali sono quelli provocati da un trauma, è una soddisfazione unica. Vedere la commozione negli occhi di una donna, dopo la ricostruzione di una mammella asportata, è per me ogni volta una gioia infinita. Non potrò mai dimenticare la volta che ho applicato due protesi in un’unica mammella, per renderla omogenea a quella sana. È stata una soluzione eccezionale, che ho condiviso anche con i partecipanti a un congresso internazionale. La chirurgia ricostruttiva ti appaga molto più di un nuovo nasino perfettamente all’insù”.

Proviamo a fare un salto in avanti nel tempo. Come sarà la chirurgia plastica del futuro?

“Non è facile rispondere a questa domanda, perché siamo nelle mani delle strategie commerciali, che dettano legge e orientano gusti e preferenze. Ci sarà, questo è sicuro, un proliferare di protesi per ogni distretto corporeo”. Il silicone dominerà la scena, ogni anno di più. Sette o otto protesi, in contemporanea, saranno sempre meno un tabù”.

Il futuro è, dunque, una donna rifatta dalla testa ai piedi?

“Dire rifatta sembra presupporre qualcosa di brutto e negativo. Io dico che va bene tutto, purché sia bello. Un mese e mezzo fa è morta Raquel Welch. Aveva più di 82 anni ed era ancora bellissima. Aveva delle meravigliose protesi zigomatiche e mammarie. Era rifatta? Io dico “menomale”. Grazie alla nuova  frontiera dell’intelligenza artificiale, sono state messe a confronto le immagini di molti attori così come sono oggi e come sarebbero senza il ricorso alla chirurgia estetica. Azzerati fascino e carisma, resterebbe solo la normalità sfiorita come quella del “vicino della porta accanto”.

So che lei ha scritto un libro curiosamente intitolato “Storia di un chirurgo plastico di periferia” …

“La periferia è il mio habitat naturale. Sono nato nel quartiere di Centocelle e poi mi sono trasferito ad Ostia. È un libro che attraversa tutti i miei interessi, spaziando dalla chirurgia plastica alla meccanica quantistica e all’evoluzione umana. E’ biografico, di saggistica e di  narrativa. Ne sono orgoglioso non solo perché sta riscuotendo un buon successo che non avevo neppure immaginato, ma soprattutto perché il parto è durato 20 anni. Il protagonista del libro sono io, a 360 gradi, senza sovrastrutture e rimozioni. Mi ci identifico totalmente”.

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