Intervista esclusiva di Antonello Sette a Carlo Piscicelli, primario di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Cristo Re e ginecologo al Poliambulatorio Casagit di Roma

“Non potrò mai dimenticare l’emozione che provai, quando, ancora studente, per la prima volta entrai in sala parto.  C’era una signora, che doveva partorire. Pensai alla magia che stava per accadere. Cinque minuti dopo ci sarebbe stato un altro abitante del pianeta. Ero affascinato e commosso. La mia è una specialità meravigliosa, che spazia dal parto alla biologia, dallo studio della riproduzione alla chirurgia e all’oncologia.

Carlo Piscicelli è ginecologo e ostetrico per passione. La vita che nasce.  Le generazioni che si susseguono.  La storia infinita delle donne e degli uomini. Tutto quello che siamo stati, siamo e saremo, è il frutto di un miracolo della natura.  Lui ha scelto di vivere questo miracolo da vicino. Gli chiedo di illustrarci i cambiamenti, che hanno attraversato l’ostetricia e la ginecologia negli anni a cavallo del terzo millennio…

“I cambiamenti sono stati numerosi  e radicali. Pensi che negli anni della mia specializzazione in clinica ostetrica non esisteva l’ecografo, ovvero quella macchina fantastica e meravigliosa, che ci ha dato per la prima volta la possibilità di vedere il bambino dentro la pancia della mamma. Per tutti i milioni di anni della storia dell’umanità la privacy del nascituro era rimasta avvolta nel mistero. L’ecografo ci ha consentito di osservare, minuto per minuto, il bambino che cresce, si muove, sbadiglia, deglutisce, si mette il dito in bocca, sogna. Che i bambini sognino, ancor prima di nascere, lo deduciamo dai movimenti degli occhi, che sono tipici della fase REM. Su quello che sognano nulla, ovviamente, è possibile sapere. Ci sono solo supposizioni, che troppo spesso altro non sono che precocissime speculazioni. Abbiamo scoperto che i bambini sognano durante i momenti di rilassamento della loro mamma. Il bambino comincia a lanciare messaggi, ancor prima di venire al mondo. La mamma si rilassa e lui sogna. È qualcosa di assolutamente meraviglioso. Il bambino che sogna muove le gambe. Se chiedi a una madre quando più sente il suo bambino muoversi, immancabilmente ti risponde: “La sera prima di addormentarmi”. Quando lei si rilassa, lui comincia a sognare”.

I rischi di morte e danni permanenti da parto stanno sparendo o quantomeno numericamente precipitando?

“Il parto rimane un momento critico. Sono in assoluto le ore più complicate della nostra vita e, fra tutti i nostri viaggi, è il più pericoloso. Oggi, però, sappiamo che i danni cerebrali derivati dal parto sono solo una piccola minoranza e che per la maggior parte dei casi si sono generati in una fase antecedente”.

La diagnosi prenatale non ha abbattuto i rischi?

“Non completamente, purtroppo. Ci sono tante cose che non riusciamo a eliminare. C’è ancora tanta strada da fare. Non c’è un centro di maternità al mondo, che abbia totalmente annullato il rischio di paralisi cerebrale. Quella che fa più paura, perché determina conseguenze, che poi ti porti appresso per tutta la vita. Non esiste un punto nascita dove non ci sia una percentuale, seppur minima, di bambini che nascono con danni irreversibili. Tutto questo non significa che non si siano stati fatti negli ultimi decenni passi da gigante. La mortalità perinatale, vale a dire quella che avviene immediatamente prima, durante e subito dopo il parto, era un tempo altissima. Un secolo fa era esattamente quella che oggi affligge l’Africa. Quella del parto è una fase delicatissima, che riusciamo a gestire infinitamente meglio di un secolo, e anche solo di 30 anni fa, ma che ancora non riusciamo a controllare al cento per cento”.

Questo vuol dire che si muore ancora di parto?

“Purtroppo devo risponderle sì. Muoiono ancora sia le mamme che i bambini. Le mamme molto raramente. I bambini con un po’ più di frequenza. Sono comunque accadimenti ormai molto rari, tanto è vero che ogni volta si va a finire, a prescindere dai problemi che ci sono stati, direttamente nel tritacarne dei giornali”.

I parti con il taglio cesareo sono diminuiti o se ne fanno ancora troppi?

“Diminuiti? Assolutamente no. I parti con il taglio cesareo sono, al contrario, notevolmente aumentati. Il cesareo è una tecnica chirurgica eccezionale, di cui, però, noi ostetrici negli ultimi decenni abbiamo abusato. Quando nel 1957 io sono nato, non nascevano con il cesareo più di quattro o cinque bambini ogni 100. Quando a metà degli anni ’80 ho cominciato a lavorare, la percentuale era salita al 14, 15 per cento. Oggi al Cristo Re siamo fra gli ospedali di Roma che effettuano meno tagli cesarei, ma anche la nostra percentuale supera il 30 per cento. Vogliamo e dobbiamo abbassarla. Esiste una geografia dei parti con il cesareo. Al Nord la percentuale oscilla fra il 25 e il 28 per cento. Al Sud sale vertiginosamente, con picchi superiori al 60 per cento”.

Questi numeri non vanno bene…

“Non vanno bene, a prescindere dalle singole percentuali. Sono numeri, che nascondono un modo improprio e diverso essere ostetrico.  È altrettanto vero che anche i contesti sono diversi: molto più difficili al Sud e molto più agevoli, anche dal punto di vista organizzativo, al Nord. La percentuale dei cesarei, al di sopra di un certo livello, è indubbiamente un indicatore di inappropriatezza. Sta a significare come non ricorri all’intervento chirurgico solo quando è necessario, ma con colpevole facilità, anche perché, dobbiamo dirlo, senza girarci intorno, per noi medici il taglio cesareo è molto più comodo e più sicuro”.

Allo stato degli atti, esiste una percentuale di tagli cesarei congrua e accettabile?  

“La percentuale, per così dire giusta, oscilla fra il 20 e il 25 per cento. I punti nascita, che la superano, dovrebbero interrogarsi e rivedere i propri percorsi. È una riflessione necessaria, che non si fa, però, sempre in modo corretto, con l’inevitabile conseguenza che continuiamo a soffrire di alte e, talvolta, altissime percentuali. C’è da aggiungere che il motivo per cui si ricorre al cesareo è molto spesso un taglio pregresso. Una mamma, che ha già subito un cesareo,  va con molta più probabilità incontro a un altro intervento chirurgico. Ne deriva che, se in una determinata area geografica, un’alta percentuale di donne ha partorito con il cesareo, la possibilità di abbassare la media è, almeno nell’immediato, molto complicata, perché vige una sorta di moltiplicatore esponenziale”.

Oltretutto, mi pare di capire che quello dei parti cesarei sia un campo minato, dove si mescolano abitudini ataviche e nuove tendenze… “È proprio così. Ora stiamo attraversando la nuova ondata del taglio cesareo a richiesta. Un numero sempre maggiore di donne sta portando avanti la propria autodeterminazione e il diritto a scegliere fra il parto naturale e quello cesareo. In Inghilterra pochi anni fa la Corte Suprema ha stabilito l’obbligo del medico a prospettare le due opzioni e a rispettare la scelta della partoriente. La sentenza ha provocato una vera e propria impennata di tagli cesarei, eseguiti non per necessità, ma a seguito di una specifica richiesta della futura mamma. In Inghilterra hanno inventato, a questo proposito, un motto ironico: “Too posh to pusch”. È troppo snob per spingere”.

SaluteIn

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