Intervista esclusiva di Antonello Sette a Pietro Aloisi, specialista in Urologia

Dottor Aloisi, qual è la genesi e quali le peculiarità del timore alla prostata?

“I tumori della prostata derivano dalle cellule che si trovano all’interno della ghiandola prostatica, che cominciano a crescere in modo incontrollato. È una crescita che normalmente avviene con una progressione lenta ed è per sua natura molto silente, sino al punto da non comportare in molti casi manifestazioni cliniche lungo tutta la sua durata. La prostata è una ghiandola, presente solo negli uomini, che si trova di fronte al retto, sotto la vescica e produce una parte del succo prostatico, che serve a mantenere vivi gli spermatozoi durante la fase riproduttiva”.

Quanto è diffuso il tumore alla prostata nella popolazione maschile?

“È il più diffuso fra gli uomini con il 18 per cento di incidenza rispetto a tutti i tumori. Un sondaggio del 2020 attestava i casi di tumori alla prostata in Italia oltre la soglia dei trentamila all’anno. È con ogni evidenza un numero enorme. Fortunatamente, a dispetto dei numeri roboanti, le probabilità di un esito letale sono molte basse, soprattutto se il tumore viene diagnosticato per tempo, in modo da consentire un precoce intervento risolutivo”.

Chi può considerarsi più degli altri a rischio?

“Rischiano soprattutto i pazienti con una familiarità con i tumori alla prostata. Il rischio di ammalarsi per chi ha un parente di sangue, genitore o fratello che sia, è esattamente il doppio rispetto a chi non ha alle spalle questa familiarità. Per il resto, è più a rischio chi è abituato a un’alimentazione ricca di grassi e fa una vita sedentaria. Naturalmente, incide molto anche l’età anagrafica. La possibilità di ammalarsi aumenta sensibilmente dopo i cinquant’anni. Va altresì annotata anche l’incidenza della mutazione di alcuni geni, come il BRCA1 e BRCA2 che sono presenti anche nei tumori femminili del seno e delle ovaie”.

Quanto è importante la prevenzione?

“È fondamentale. Tutti gli uomini, che hanno superato i cinquant’anni, dovrebbero sottoporsi ogni anno a un check up completo: visita urologica ed il controllo del valore del PSA, se non è mai stata fatta in precedenza. Il tumore della prostata è particolarmente subdolo, proprio in ragione della sua connaturata indolenza. Cresce nella periferia della prostata e, conseguentemente, il più delle volte non dà segni di sé e non provoca disturbi significativi.

Nel caso dei pazienti con una familiarità accertata, è consigliabile anticipare ai quarant’anni la prevenzione annua”.

L’accertamento del valore del PSA è un parametro di per sé sufficiente per diagnosticare o escludere un tumore alla prostata?

“Il PSA non è un marker tumorale, ma solo un indice del benessere della prostata che, in caso di valori troppo alti, segnale un allarme rosso, che richiama l’attenzione dell’urologo sulla necessità di effettuare esami più approfonditi. In questo senso è da sottolineare che il successivo step non è più, come era sempre stata, l’ecografia prostatica, ma la Risonanza Magnetica multiparametrica, che è diventata il cardine diagnostico, dal momento che è in grado di individuare la presenza di zone altamente sospette, attenzionando il chirurgo urologo sulla necessità di effettuare una biopsia prostatica, che è l’unico esame capace di identificare, attraverso il prelievo di un frammento di tessuto della prostata, la formazione di cellule tumorali. Questa operazione può essere effettuata in maniera tradizionale o in maniera mirata sotto la guida della risonanza magnetica multiparametrica effettuata in precedenza (biopsia Fusion)”.

Lei ha ribadito che il tumore della prostata, se preso in tempo, è chirurgicamente risolvibile. Le chiedo quali sono le tecniche operatorie che vengono normalmente utilizzate?

“Sono le vecchie tecniche chirurgiche open, la tecnica laparoscopica e, più modernamente, la prostatectomia radicale con chirurgia robot-assistita, che è l’ultimo ritrovato in questo campo, laddove il chirurgo non opera con le proprie mani, ma si avvale di un robot a distanza, che manovra da una consolle provvista di joystick. Una tecnica quasi futuribile, che consente risultati migliori, soprattutto in vista della successiva fase della ripresa post operatoria.

In Italia i robot adatti a praticare l’intervento sono sempre più diffusi su tutto il territorio nazionale. Studi recenti hanno dimostrato che gli esiti dell’intervento robotico e di quello classico, in termini di risultati oncologici e effetti collaterali, si equivalgono nel tempo.

SaluteIn

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