Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Cesare Bonezzi, specialista in Anestesiologia e Neurochirurgia, Consulente del Centro di Terapia del Dolore, Istituti Clinici Scientifici Maugeri di Pavia

Professor Bonezzi, in Italia il dolore cronico affligge, seppure in forme anche molto diverse fra loro, dieci milioni di persone. Per vincerlo, o almeno limitarlo, siamo allo status ante o si prospettano nuove possibilità, farmacologiche e non?

“Per combattere il dolore cronico utilizziamo tanto i farmaci, quante le tecniche di terapia del dolore, che non sono quelle strettamente note, come la magneto terapia, la tecar terapia, ma altre molto specialistiche, che vengono praticate nei Centri dedicati alle terapie del dolore. Queste tecniche sono incentrate sulla neuromodulazione, elettrica e chimica delle vie nervose della nocicezione. Altre tecniche in uso sono estremamente complicate, come, ad esempio, le terapie rigenerative e le tecniche di neurostimolazione”.

Come possono tornare utili i farmaci di fronte a un dolore cronico per sua natura?

“Con i farmaci la cronicità la gestiamo soprattutto in una prima fase. Non possiamo andare avanti con certi farmaci, per quanto si siano rivelati efficaci, all’infinito. Per intenderci, oltre i tre mesi, che è lo spazio temporale, oltre il quale il dolore diventa convenzionalmente cronico. Il motivo è semplice. Sono farmaci che possono provocare nel tempo alterazioni della funzionalità renale, gastrointestinale, cardiovascolare nonchè altre patologie. Noi oggi sappiamo con certezza che i farmaci sono sì utili, ma hanno anche dei limiti da prendere in considerazione. Se prescritti per il dolore cronico, anche i farmaci oppiacei, che vengono utilizzati su vasta scala e con ottimi risultati, a lungo andare e in dosaggi non controllati possono in alcuni casi limitare il livello di attenzione, interferire con la sfera ormonale.

E le tecniche cosiddette riabilitative…

“Le tecnologie riabilitative in uso, come la magnetoterapia e la tecar, vanno bene e sono efficaci in presenza di un dolore acuto, non per un dolore che si prolunga nel tempo, sino a diventare cronico”.

Torniamo ai farmaci…

“La terapia farmacologica è stata tradizionalmente monofarmacologica con un solo principio attivo: i corticosteroidi, l’antinfiammatorio, l’analgesico oppioide, maggiore e minore. Ognuno di questi principi attivi agisce a vari livelli del complesso meccanismo della nocicezione. Da alcuni anni hanno cominciato a diffondersi farmaci, non nuovi ma tutti in qualche misura innovativi, che associano, e ne contengono al loro interno, due diverse molecole, concomitanti e complementari. Si è infatti scoperto che associando due principi attivi le prospettive terapeutiche di fatto aumentano e questo avviene, innanzi tutto, perché riusciamo a coinvolgere e aggredire contemporaneamente più meccanismi del dolore. Per fare un esempio, se io associo a un antinfiammatorio, che agisce perifericamente, un analgesico, che produce un effetto a livello spinale, agisco sia sulla trasduzione, ovvero sulla parte iniziale del processo di dolore, sia a livello spinale sulla trasmissione. Per restare nel campo degli esempi concreti, è possibile combinare, e lo specifico prodotto esiste da tempo, un antinfiammatorio ad azione prevalentemente periferico con il tramadolo che agisce a il livello spinale. Un altro sistema possibile può essere quello che utilizza due principi attivi, come il paracetamolo e il tramadolo. Questi due molecole si potenziano reciprocamente, agendo entrambi a livello della trasmissione spinale. L’associazione fra questi due principi attivi consente non solo un risultato migliore, ma anche la riduzione delle dosi di ciascuno e, quindi, degli effetti collaterali del singolo farmaco. Si può quasi ipotizzare che l’associazione di due principi attivi dia origine ad un nuovo principio attivo più efficacie.

Altri esempi…

Un altro esempio è l’associazione, sperimentata più recentemente con successo, fra il paracetamolo e l’ibuprofene. Il paracetamolo è un analgesico che agisce nella trasmissione a livello spinale, mentre l’ibuprofene ha effetti terapeutici a livello del nocicettore periferico limitando l’azione dell’infiammazione. Il combinato disposto di questi è sicuramente benefico per l’analgesia. È un’associazione, che va a influire su due diversi meccanismi che sono alla base della nocicezione e quindi del dolore. In sintesi, l’insieme rende più efficace il prodotto, che non è una molecola nuova, ma un modo nuovo di affrontare il problema dolore. Un nuovo modo, che si basa sull’interazione. La terapia combinata agisce a due livelli, periferico e spinale, oppure sullo stesso livello, ma con un potenziamento del risultato finale. Diventa sempre più diffusa anche la combinazione tra farmaci e tecniche di terapia del dolore avendo sempre come principio di scelta i diversi meccanismi fisiopatologici che sono alla base del dolore”.

Mi pare di capire che la combinazione di due molecole in un unico farmaco sia diventata fondamentale nella battaglia a lungo termine contro il dolore…

“La terapia combinata è fondamentale vista la complessità del dolore e dei meccanismi fisiopatologici coinvolti. Ormai la partita la si gioca tutta sulla terapia combinata. La combinazione di due molecole in unico farmaco è il presente e, soprattutto, il futuro della terapia del dolore”.

SaluteIn

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