Intervista esclusiva di Antonello Sette a Gioacchino Galardo, Responsabile UOSD Pronto Soccorso Medico del Policlinico Umberto I di Roma
Dottor Galardo, i pronto soccorso sono tutto e il contrario di tutto. Territorio di frontiera, dove si salva la vita delle persone e si guarda in faccia la morte. Un giorno eroi e poi di nuovo vittime sacrificali di un sistema che lascia medici e infermieri soli, a pagare colpe quasi mai proprie…
“Il lavoro al pronto soccorso rimane per molti medici uno dei più affascinanti in assoluto, nonostante le pesanti ripercussioni sulla vita privata, fra notti e festivi trascorsi lontano da casa e dai propri affetti. Il dover affrontare situazioni difficili ed emergenziali, l’occuparsi della salute di chi in quel momento di difficoltà fisica si affida a noi e, soprattutto, la possibilità di salvare una vita umana sono impagabili. Fanno parte del nostro Dna, ovvero del motivo primo per cui scegliamo di fare i medici, ma il prezzo da pagare si sta facendo via via più alto, perché la qualità del lavoro sta progressivamente peggiorando”.
Anche per colpa di organici inadeguati…
“Siamo troppo pochi, nonostante l’attenzione delle istituzioni sia sicuramente cambiata negli ultimi anni, a livello sia nazionale, che regionale e locale, come tocchiamo con mano anche nel nostro Ospedale. Purtroppo, a fronte di questa ritrovata sensibilità, persiste la difficoltà di reperire medici, anche bandendo concorsi ad hoc o cercandoli direttamente tramite specifici avvisi. C’è stato un ricambio generazionale dei medici di diverse specialità, compresa la medicina interna, da cui si dovrebbero attingere, ma la tendenza è quella di scartare sempre più, al momento della scelta definitiva, l’emergenza-urgenza”.
La specializzazione specifica non riesce a riempire il serbatoio?
“La specializzazione in medicina d’urgenza non riesce a fornire la quantità di medici che sarebbe necessaria e, oltretutto, non riesce a coprire neppure i posti banditi. È una situazione paradossale, figlia di errori di programmazione del passato sul numero dei posti necessari a regime”.
Nel frattempo la domanda si impenna e i pronto soccorso non sono più l’ultima spiaggia, ma troppo spesso anche la prima…
“L’affollamento fuori controllo è sotto l’occhio di tutti. Questo accade perché i cittadini ricevono sempre meno risposte dal territorio e non è lontano dal vero chi dice che, se una persona ha un bisogno di salute da soddisfare, emergenziale o non emergenziale che sia, non può rivolgersi ad altro che al pronto soccorso, per le crescenti carenze strutturali, sia a livello di medici di famiglia che di ambulatori Asl. L’unico posto, che è sempre aperto, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, è il pronto soccorso. Il sovraccarico è diventato insostenibile sino al punto di mettere in ombra anche il fascino della trincea”.
Oltretutto è cronaca quotidiana l’aumento delle aggressioni…
“È una piaga direttamente collegata al sovraccarico. Pochi medici e un numero sproporzionato di utenti. È inevitabile che il paziente meno grave debba attendere anche tre o quattro ore, prima di essere visitato e valutato. Questa attesa, obiettivamente esagerata, genera frustrazioni e reazioni, troppo spesso incontrollate e violente. Siamo costretti a contare, ed è ogni volta un momento di dolore per tutti noi, decine di aggressioni quotidiane a medici e paramedici. E va sottolineato che il settanta e più per cento delle aggressioni colpiscono donne. Il pronto soccorso è di gran lunga l’ambiente sanitario più a rischio di aggressioni, anche più dei reparti psichiatrici e del personale delle ambulanze del 118, che si ritrovano a fare da filtro e smistamento. Volendo fare delle percentuali, sette operatori samitari su dieci hanno subito, nel corso degli anni, un’aggressione”.
Le aggressioni sono aumentate dopo la drammatica emergenza Covid?
“Eravamo considerati eroi, e tanti medici, me escluso naturalmente, lo sono stati davvero. Siamo tornati a stare peggio di quanto stavamo prima. C’è stata una narrazione di quel momento, basata sulle vaccinazioni e sugli effetti collaterali, molto spesso inventati, che ha comportato una vistosa crisi di fiducia nei confronti della classe medica, che facilita e in qualche misura spiega l’onda nera delle aggressioni”.