Intervista esclusiva di Antonello Sette a Giulio Maria Ricciuto, Responsabile del Pronto Soccorso dell’Ospedale G.B. Grassi di Ostia e Past President Società Italiana Medicina Emergenza-Urgenza
Dottor Ricciuto, i pronto soccorso italiani godono di atavici pregiudizi e di cattiva stampa. Eppure, quando si sta davvero male e si ha paura, tutti chiamano il 118 e corrono al più vicino pronto soccorso disponibile…
“La contraddizione è alimentata da quei pochi episodi negativi, messi in enorme risalto dai media, a fronte di milioni di prestazioni che eroghiamo ai circa 20 milioni di cittadini che si presentano annualmente nei pronto soccorso, e che hanno un impatto insostituibile sulla salute pubblica, al punto da prospettare, se venissero ridotte in quantità e qualità, una crisi sanitaria talmente insostenibile da trasformarsi in una emergenza sociale ed anche di ordine pubblico”.
Un rischio che sembra non preoccupare la governance sanitaria del nostro Paese…
“L’attenzione incentrata solo sui rarissimi incidenti di percorso è da una parte un attacco al cuore delle motivazioni del personale medico e paramedico, e dall’altra non aiuta a far comprendere il sine qua non di quell’autentico baluardo sociale rappresentato dai pronto soccorso. La politica aveva per decenni sistematicamente eluso il problema. Ora sembra finalmente delinearsi un’inversione di tendenza e si sta finalmente cercando, più o meno in accordo con noi, di porre un freno a quello che apparentemente sembra prospettarsi, ovvero un declino inevitabile e irreversibile, ma che nella realtà è un’evenienza insopportabile dal sistema e, quindi, niente affatto concreta. Se non altro perché l’emergenza e urgenza esiste da sempre, e per sempre esisterà. Questa non può essere marginalizzata, ma va, al contrario, riqualificata, rilanciata e salvaguardata, come si salvaguardano le specie in via di estinzione, garantendo un habitat corretto riducendo in modo significativo le “tossicità di sistema” ormai note a tutti . Non c’è altro tempo da perdere. Bisogna tornare in fretta alle motivazioni e all’entusiasmo di un tempo passato, lavorando sulle giuste leve e rimuovendo ciò che rende questo lavoro traumatico oltre la sopportazione di molti.
L’habitat dei pronto soccorso si salvaguarda con interventi solo economici? O anche strutturali?
“La leva economica ha ovviamente un peso, ma chiunque abbia studiato un minimo di management sa che quella economica è una leva di breve, al massimo medio termine e non può, quindi, essere l’unica se si vuole far risorgere l’emergenza-urgenza. Le leve sono soprattutto altre. La leva professionale, ad esempio, sarebbe quella di restituire il Medico di Emergenza Urgenza al suo lavoro votato all’emergenza e urgenza preospedaliera e ospedaliera senza limiti imposti, eliminando ogni incombenza che lo aliena e che si sintetizza in un obbligo sostanziale di sostituzione da una parte della medicina territoriale (accessi inappropriati) e dall’altra, soprattutto, degli specialisti ospedalieri in attesa di un posto letto per chi deve essere ricoverato (fenomeno del boarding, vera causa del sovraffollamento dei PS). Le leve personali infine, sono quelle richieste a gran voce dalle nuove generazioni e attengono a una qualità di vita, che non può ridursi a puro sacrificio, come è stato per la mia generazione. Non si può più chiedere ai giovani di oggi l’accettazione di una vita che azzera, ad esempio, tutti i sabati e le domeniche da trascorrere, come accade per tutti gli altri lavoratori, con la propria famiglia e con i propri affetti, per non parlare delle notti trascorse, magari consecutivamente, lontano da casa. Sono sacrifici che oggi non si possono più pretendere. Bisogna rispettare, una volta per tutte, lo stile di vita di chi opera nei pronto soccorso”.
Viene da obiettare che le richieste di pronto soccorso non si fermano né nei weekend, né nelle ore notturne…
“Naturalmente quello che lei dice è vero, ma bisogna trovare il modo di garantire un numero di notturni e festivi, compatibile con la dignità che oggi richiedono le persone, che non è la stessa di quando ero giovane io. Quella vita non è più riproponibile e, se non partiamo da questa evidenza, non andiamo da nessuna parte. La qualità di vita è più importante anche della leva economica e dei benefit extra, se si vuole ricreare un habitat corretto, che consenta ai giovani di riscoprire quella fondamentale ed eterna branca specialistica, che è la medicina di emergenza e urgenza”.
Attualmente ai minimi termini quanto a capacità attrattiva verso le nuove leve…
“Se lei va in una facoltà di medicina e chiede agli studenti degli ultimi anni accademici l’indice di gradimento della medicina dell’emergenza-urgenza, riceverà un plebiscito di consensi, ma le diranno anche che, restando così le cose, manca la garanzia di una vita conforme alle loro aspettative. E, quando c’è da mettere la crocetta sulla richiesta di una specializzazione, a tutto pensano meno all’emergenza-urgenza”.
Ho un’ultima curiosità da soddisfare. La medicina d’emergenza, che si pratica nei pronto soccorso è uguale a quella di vent’anni fa o ha fatto, come tante altre discipline, passi in avanti significativi?
“Ha fatto pasi da gigante. Venti o trent’anni fa si entrava in un pronto soccorso, si riceveva un abbozzo di visita e poi si entrava in quelle enormi astanterie, dove con calma si avviavano i ricoveri. Oggi la medicina di emergenza-urgenza è tutta basata sulla tempestività di azioni di team precise e di alto contenuto tecnico e cognitivo oltre che comportamentale, nella prospettiva di effettuare la diagnosi e di predisporre una terapia nei tempi corretti per garantire prognosi più favorevoli possibili. Se non affrontiamo le acuzie fin dalla prima ora e in maniera adeguata, gli esiti saranno sicuramente meno confortanti”.
Ogni modernità richiede competenze all’altezza del cambiamento…
“Noi medici dell’emergenza-urgenza abbiamo a disposizione strumenti, sia a livello diagnostico che terapeutico, che vent’anni fa non esistevano. Il problema è che più si affina il sistema di emergenza-urgenza, più cresce la necessità di contare su un personale qualificato e competente. L’idea di poter mettere chiunque a svolgere assistenza nei pronto soccorso è malsana e fuorviante. La medicina dell’emergenza-urgenza presuppone basi solide di competenze specifiche e un aggiornamento continuo dedicato. Non si può garantire un servizio di qualità e, quindi, prognosi adeguate ai pazienti in acuzie, se imbarchiamo a bordo chiunque”.
Se scegliamo e distinguiamo, non potrebbero risentirne organici già di per sé non adeguati alle moderne necessità…
“Sì, ma su una cosa la politica deve mettersi d’accordo e uscire dall’ambiguità anche sicuramente involontaria. Bisogna decidere se si vuole semplicemente un numero di operatori sanitari necessario per coprire tutta la enorme rete delle postazioni di diverso livello di emergenza esistenti o se si vogliono postazioni, magari meno numerose, ma in grado di salvare veramente quante più vite umane possibili, legate al territorio da un sistema di soccorso e trasporto integrato. Per dirla brutalmente, si vogliono ben curare i cittadini in emergenza-urgenza, o ci si accontenta di una rappresentanza medica sparsa sul territorio, magari numericamente adeguata, ma senza alcuna garanzia di risultati adeguati agli standard internazionali moderni?. È una domanda a cui i medici ovviamente non debbono e non possono rispondere. La risposta spetta alla politica, che ha il compito primario di ascoltare i cittadini, di accoglierne le istanze e di soddisfarne le esigenze”.