Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Stefano Margaritora, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Toracica del Policlinico Gemelli di Roma

Professor Margaritora, in Italia il cancro al polmone seguita a registrare un triste primato…

“Purtroppo la curva di incidenza del cancro al polmone in Italia non è in diminuzione, al contrario di altri Paesi dell’Occidente industrializzato, dove, seppur molto lentamente, progressivamente scende. Parlando da chirurgo segnalo che negli ultimi cinque anni abbiamo effettuato sempre più interventi rispetto all’anno quello precedente”.

Quali sono, in sintesi, le principali novità nel campo vasto del cancro al polmone?

“Va detto, innanzi tutto, che è in aumento l’incidenza del cancro al polmone in persone che non fumano. Correlato a questo nuovo aspetto, ci sono i rischi, peraltro non ancora quantificabili, connessi al fumo diverso da quello tradizionale delle sigarette di tabacco. Sto parlando delle sigarette a combustione fredda e di quelle elettroniche. Un ulteriore risvolto è il lascito che abbiamo ereditato dal Covid. Dal primo punto divista preso in esame, possiamo dire, senza tema di essere smentiti, che è in aumento l’incidenza del tumore al polmone nelle donne, soprattutto se non fumatrici. Quest’ultimo aspetto è anche legato all’aumento di incidenza di una particolare famiglia del cancro al polmone, quali sono gli adenocarcinomi. Su quali siano le cause scatenanti di questa maggiore incidenza del cancro al polmone nelle donne non fumatrici, ci sono al momento solo ipotesi di studio, che riguardano nello specificoanche le analisi molecolari delle cellule tumorali, ma non disponiamo ancora di risposte scientificamente definitive”.

Lei ha accennato al possibile effetto nocivo del consumo delle sigarette, per così dire, sostitutive?

“Sono troppo pochi gli anni trascorsi da quando si sono diffuse le alternative al fumo tradizionale, per poter avanzare delle ipotesi plausibili. Se sono anch’esse, ed eventualmente in quale misura, cancerogene, lo potranno dire solo i nostri nipoti. Ad oggi, possiamo solo dire che gli effetti a lungo termine dell’acido poliglicolico, che è la sostanza contenuta nelle sigarette elettroniche, che fa emettere il fumo e procura una sensazione piacevole al consumatore, sull’albero respiratorio sono ancora lontani dall’essere dimostrati, ma è altrettanto vero che ci troviamo di fronte a una sostanza che puòavere una sua peculiare nocività. È altrettanto evidente che rispetto al fumo di sigarette, che ha, al suo interno, circa cinquemila sostanze inalate a 800 gradi, una sostanza sola, e per di più fredda, è difficile ipotizzare che possa provocare gli stessi danni. Diverso è il discorso concernente le sigarette a combustione fredda, perché, in questo caso, le sostanze utilizzate sono le stesse di una sigaretta tradizionale, ma il fumo, che viene sprigionato ed entra nei polmoni, è molto più freddo e, quindi, verosimilmente meno nocivo”.

Le campagne di sensibilizzazione contro i rischi del fumo e, più in generale, di prevenzione del cancro al polmone, al di là degli sbandierati programmi di screening, a me sembra segnino il passo. Il cancro al polmone si diffonde e cresce nell’ombra, senza che se ne parli più di tanto. È solo un’impressione priva di fondamento?

“Lei non sbaglia. Ci sono molte campagne che riguardano altri tipi di tumore, ad esempio quello della mammella, che sono regolarmente promosse da tutte le associazioni femminili. Nei confronti del cancro al polmone, una forza trasversale di portata significativa non è mai nata. In Italia si è andato avanti piuttosto pigramente su screening promossi sia privatamente, come il famoso studio Cosmos di Umberto Veronesi, peraltro andato in archivio ormai da oltre dieci anni, oppure su qualche studio, magari anche coordinato dal Ministero della Salute, che però non ha mai coinvolto un numero significativo di centri. Le campagne di prevenzione nei confronti del tumore al polmone e, soprattutto, quelle di screening, hanno sempre battuto la fiacca. È assolutamente vero”.

L’età media delle persone che lei opera ha subito delle modificazioni significative?

“L’età media rimane fra i 65 ed i 70 anni, ma stanno cambiando i punti di partenza e di arrivo. Facciamo sempre più diagnosi di tumore al polmone a persone che non hanno ancora compiuto trent’anni. Anche a  ragazzi di 23-24 anni ed è qualcosa che in un tempo non lontano era assolutamente impensabile. Dall’altro lato della scala anagrafica, oggi, grazie alle nuove tecniche sempre meno invasive e sempre più rapide, riusciamo a operare anche gli ultraottantenni. L’anno scorso abbiamo operato pazienti al di sopra degli 85 anni, con interventi anche complessi e pesanti, risoltisi nel migliore dei modi. L’età media, quindi, non si discosta da quella consolidata nel corso degli anni, ma si ampliano le curve sia verso l’età più avanzata che, purtroppo, verso una giovane età.”.

Le resta da spiegare l’eredità lasciataci dal Covid?

“È un’eredità per così dire involontaria, ma ugualmente importante. Molti dei pazienti, ricoverati in ospedale con conseguenze polmonari di varia entità, sono poi stai reclutati nei centri post-Covid, che eseguono nel tempo TAC polmonari di controllo e che, funzionando di fatto da screening, hanno portato alla scoperta di piccoli cancri al polmone che altrimenti sarebbero rimasti sconosciuti. Involontariamente, quindi, dopo averci fatto tanto fatto soffrire, in questo specifico caso il Covid ha svolto, e continua a svolgere una funzione di diagnosi precoce del cancro del polmone, sicuramente involontaria, ma ugualmente molto utile”.

SaluteIn

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