“Il C.I.R.M. è, a memoria d’uomo, una delle prime esperienza di medicina a distanza. Tutto nasce da una straordinaria intuizione di Guglielmo Marconi, che alla fine dell’Ottocento pensò di utilizzare le onde radio anche per curare e guarire pazienti, che non potevano contare su un medico in carne e ossa”.

Francesco Amenta, che del C.I.R.M. è il presidente in carica, racconta una gloriosa storia italiana.  L’attività del C.I.R.M. ha inizio il 7 aprile 1935. Il suo primo presidente è il premio Nobel Guglielmo Marconi. Il C.I.R.M. è una sua creatura, che precorre i tempi e riempie una pagina, che era bianca ed è già futuro. Il professor Amenta elenca numeri da capogiro…

“A partire dal giorno inaugurale abbiamo curato a distanza centoventiquattromila pazienti, che si trovavano a bordo di una nave e salvato migliaia di vite umane. La nostra attività continua e in qualche modo si moltiplica. Le navi da carico, che trasportano l’ottantacinque per cento delle merci del pianeta, non hanno a bordo né medici, né infermieri dedicati. L’assistenza è delegata al comandante, che ha seguito corsi pomposamente definiti di medical care, ma che si riducono a quaranta ore di formazione nell’arco di un quinquennio. Siamo noi del C.I.R.M. ad assistere chi a bordo si è ammalato o infortunato”.

Le navi sono stati il laboratorio di un percorso che si è esteso alla terraferma, seminato radici, spazzato via scetticismi e invaso il futuro. L’incubo della pandemia ha fatto da spartiacque fra la telemedicina pionieristica di Guglielmo Marconi e quella tecnologicamente sempre più avanzata, che è diventata non un’opportunità, ma un’esigenza. Professore concorda con me che la telemedicina è una svolta importante per il nostro Sistema Sanitario e che non c’è più tempo da perdere per passare dal tempo delle ipotesi e delle emergenze a quello della realtà quotidiana?

“Ci sono innanzi tutto da superare, una volta per sempre, le titubanze psicologiche. Molti credono che la telemedicina vada utilizzata solo quando non c’è la possibilità di assistere in modo diretto i malati. Non è sempre così. Le tecnologie, via via più evolute e affidabili, ci consentono di replicare i risultati, che si possono ottenere con il rapporto vis à vis fra medico e paziente. Il campo di azione si allarga e conquista territori che sembravano off limits. Oggi anche interventi chirurgici di grande specializzazione possono essere realizzati a distanza con la chirurgia robotica. Immagini un grande chirurgo statunitense e un paziente che si trova dall’altra parte dell’oceano. Ovviamente, a fianco di chi si deve sottoporre all’intervento, è sempre necessaria la presenza diretta di un medico, ma i potenziali vantaggi, anche in un settore così delicato, restano enormi”.

Professore provi a immaginare quello che potrebbe accadere da qui a vent’anni. Dove arriverà la telemedicina?

“Mi sento di dire che, al cospetto della malattia, saremo tutti meno soli. Dovunque ci troveremo. Nella nostra casa, in aereo, in treno e finanche in uno sperduto villaggio ai margini del mondo civilizzato. I confini futuri sono difficili da stabilire. Le nuove tecnologie hanno infranto anche le più granitiche certezze. La chirurgia robotica, ad esempio, ha dimostrato che la sottigliezza e la precisione di una sonda vanno oltre i limiti delle dita umane. Nel mondo che verrà da qui a vent’anni, si potranno curare i malati cronici, effettuare analisi ed elettrocardiogrammi, formare medici e paramedici senza che nessuno esca dalla propria casa. La prevenzione non sarà una prerogativa elitaria, ma potrà finalmente coinvolgere tutti i cittadini. Sarà un mondo più sano e, me lo faccia dire, anche più giusto”.

SaluteIn

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