Intervista esclusiva di Antonello Sette a Stefano Vicari, Professore Ordinario di Neuropsichiatria all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore della UOC di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù
Professor Vicari, lei ha pubblicato un bellissimo libro, titolo “Adolescenti interrotti”, sottotitolo “Intercettare il disagio prima che sia tardi”. Un libro che mette tutti gli adulti di fronte alle loro responsabilità. È una deriva che va fermata…
“E’ un libro sulla salute mentale dei nostri figli in pericolo, non un elenco di disturbi. È un libro che prova a suggerire ai genitori, agli educatori e al mondo degli adulti quello che si può fare per potenziare la salute mentale dei bambini e degli adolescenti. Un approccio d’importanza capitale, troppo spesso sviato e trascurato in questo periodo storico. Da ogni parte viene segnalato un aumento consistente delle richieste d’aiuto. I dati dell’Unicef, pubblicati lo scorso anno, ci dicono, o se preferisce sentenziano, che nella Comunità Europea il 10 per cento dei bambini e il 19 degli adolescenti manifestano un disturbo mentale, con l’ansia, che coinvolge l’8 per cento e la depressione il 4 per cento dei ragazzi fra i 14 e i 18 anni”.

Una dolorosissima e inquietante epidemia…
“Sì, un’epidemia da emergenza di salute mentale. E gli adulti sono sempre più disattenti nei confronti delle difficoltà che i bambini e gli adolescenti incontrano nel loro percorso mentale. Le malattie mentali ci sono sempre state. L’infanzia e l’adolescenza sono sempre stati periodi critici per motivi innanzi tutto biologici, perché il cervello ha in quella fase temporale della vita una grande spinta maturativa”.
Ma non può essere solo questa la ragione, se parliamo di epidemia…
“L’aumento del disagio di valenza psichiatrica è evidentemente collegabile a un cambiamento delle condizioni ambientali, che, a sua volta, è verosimilmente legato all’aumento dei fattori di rischio e alla diminuzione di quelli di protezione”.
Quali sono i fattori di rischio?
“Al primo posto ci sono le dipendenze. In primis, quella da sostanze, perché i bambini cominciano sempre più precocemente a fumare cannabinoidi o a flirtare con sostanze chimiche di sintesi, caratterizzate da principi attivi sempre più potenti. Poi, c’è la dipendenza, per così dire nuova, che è quella da Internet, con un uso praticamente incontrollato dello smartphone e, conseguentemente, con un’utilizzazione nei bambini che si protrae dalle 4 alle 6 ore al giorno e che negli adolescenti arriva addirittura sino a 12 ore, ovvero a metà giornata”.
Dipendenti e in balia di sé stessi, visto che, come lei denuncia, i fattori di protezione sono venuti progressivamente a mancare…
“Famiglie e scuola, intese come agenzie educative, fanno attualmente un’enorme fatica a dare delle risposte e a rappresentare modelli educativi, che siano adeguati rispetto a uno scopo obiettivante complicato”.
La famiglia e la scuola sono le grandi imputate?
“Più che imputate, sono assenti. Raramente la famiglia o, addirittura, la scuola sono la causa del malessere psicologico dei ragazzi. Il problema è che non riescono quasi mai a rappresentare la soluzione, ovvero ad assolvere, nello specifico, al loro ruolo di supporto e di aiuto”.
Qual è il punto di mancanza?
“Molti genitori, in particolare, non riescono incarnare la loro missione fondamentale, che dovrebbe essere quella degli educanti. I genitori sono spesso distratti, a volta non per loro cattiva volontà, ma perché magari lavorano per tante ore durante il giorno e sono, quindi, fatalmente costretti a lasciare i propri figli in balia della loro solitudine. Nondimeno, molti genitori sono spesso più preoccupati di mantenere un loro giovanilismo e, quindi, una loro eterna adolescenza, piuttosto che esercitare il ruolo che spetterebbe loro, ovvero quello di stabilire principi e dettare le regole. Nella mia quotidiana attività professionale, mi preoccupo molto quando nella mia stanza entra una ragazza di 14 o 15 anni, accompagnata da una madre, vestita come lei e con gli stessi tatuaggi, riproducendo a ritroso uno schema che evidentemente appartiene alle generazioni successive. Oppure quando la madre mi confessa, magari con una punta di compiacimento, che si considera la migliore amica di sua figlia. C’è un’alterazione del rapporto genitori-figli, conseguente al venir meno del senso di responsabilità e di responsabilizzazione, che dovrebbe competere all’adulto”.
Anche la scuola ha le sue responsabilità…
“La scuola è molto spesso presa dalla necessità di portare a compimento nel tempo concesso i programmi didattici e molto meno a costruire relazioni positive, a intercettare aspettative, dubbi e richieste interiori e ad aprire ponti attraverso i quali si conosce l’altro e si conosce sé stessi. C’è una prova provata di tutto questo, che viene dalla nuova e moderna intitolazione del Ministero dell’Istruzione. Alla ragione sociale originaria ha aggiunto con pari rilievo il merito. Come a voler sottolineare che il compito principale della scuola dovrebbe essere, alla fine della fiera, quello di selezionare e non di aprire la scuola a tutti e, soprattutto, a chi incontra maggiori difficoltà”.
I ragazzi sono sempre più soli…
“Sono soli e fanno anche fatica a comunicare fra loro. Mancano le occasioni di incontro, una volta accertato che quelle all’interno della famiglia e della scuola si sono ridotte enormemente. Al tempo della mia adolescenza, c’erano l’oratorio, lo scautismo, le associazioni giovanili dei partiti, i prati dove si giocava a pallone con due sassi a immaginare le porte. Oggi tutto questo si è dissolto. Gli spazi di aggregazione, dove i ragazzi si possono incontrare e discutere fra loro, sono di fatto quasi inesistenti. Rimangono a loro disposizione solo le piazze virtuali, dove le relazioni sociali e interpersonali sono falsate e improduttive”.
Un’ultima considerazione e un’ultima domanda, caro professore. Persiste tutt’ora quel tabù, secondo la quale i genitori sono disponibili ad accettare, seppure con dolore, tutte le malattie dei propri figli, ma non quella psichiatrica?
“Lei ha perfettamente ragione e questo è un altro enorme problema. Bisognerebbe, a questo proposito, ricordare alle famiglie che dai disturbi mentali, se li si affrontata in tempo, per lo più si guarisce. Su quello che lei acutamente osserva pesa un vecchio pregiudizio. Se è vero che, come sappiamo, la famiglia è molto di rado la causa diretta del disagio del bambino e dell’adolescente, è altrettanto vero che il senso di colpa tortura i genitori. Quando io incontro una ragazzina anoressica, la prima cosa che vuole sapere il padre è dove ha sbagliato. C’è poi molto spesso la preoccupazione che il proprio figlio, o la propria figlia, una volta introdotti al cospetto dello psichiatra, siano bollati come il “mattarello” o la “mattarella” nel loro contesto”.
I bambini, invece, vanno assolutamente aiutati. Senza paura e tantomeno vergogna…
“Anche perché se ne può uscire per sempre. Il problema è che i disagi vanno affrontati perché altrimenti il rischio di una cronicizzazione è altissimo. E questa sì che sarebbe una colpa imperdonabile”.