Intervista esclusiva di Antonello Sette al professor Daniele Manfredini, Odontoiatra specialista in Ortognatodonzia e in Dolore Orofacciale, Titolare Cattedra di Fisiologia dell’Apparato Stomatognatico presso l’Università di Siena
Professor Manfredini, facciamo una buona volta chiarezza sul bruxismo e sulle sue tendenzialmente infinite sfaccettature e paradefinizioni…
“Nell’immaginario collettivo il bruxismo è considerato, anche per ragioni banalmente etimologiche, l’atto del digrignare i denti durante il riposo notturno. In realtà, le ricerche intraprese, a partire dagli anni ’90 fino alle più recenti, hanno ampliato e ridisegnato l’ambito della definizione, dimostrando che l’irrequietezza motoria dei muscoli masticatori legata al digrignamento dentale durante il sonno vada almeno in parte collegata ad alcuni fenomeni neurologici, ad una sorta, per spiegarci meglio, di microrisvegli, durante i quali il paziente batte i denti o li digrigna. Quello che, come clinici, abbiamo notato nel corso degli anni, grazie soprattutto agli strumenti di rilevazione via via disponibili, è che questa attitudine sia molto meno frequente di quanto si fosse sempre pensato. Quello che, al contrario, abbiamo evidenziato è la proliferazione di episodi legati ad altri tipi di attivazione dei muscoli del volto, che hanno caratteristiche ben differenti. Le persone in questo caso tengono i muscoli in tensione, stringono i denti o li contattano ripetutamente, piuttosto che digrignarli. Questa scoperta ha aperto scenari completamente nuovi. Nel 2013 un gruppo di esperti, di cui ho avuto l’onore di far parte, ha ridefinito il bruxismo in modo univoco, a uso e consumo di tutte le comunità scientifiche. Tale definizione è stata parzialmente modificata nel 2018 e io fui, in quell’occasione, il co-chairman del board di esperti specificatamente nominati dalla International Association for Dental Research che decise la nuova terminologia”.
Che cosa è, in definitiva, il bruxismo?
“È un’attività dei muscoli del volto che può estrinsecarsi nelle forme del serramento e del digrignamento dei denti, oppure nelle analoghe attività muscolari eseguite senza avere i denti a contatto. Fra queste ultime, la più importante è quella che gli anglosassoni chiamano bracing, ovvero la particolare attitudine a tenere i muscoli contratti con la mandibola in posizione fissa, come nel caso di chi resta ininterrottamente in un atteggiamento di vigilanza e di concentrazione, mantenendo separate le due arcate dentarie. Tali attività muscolari possono chiaramente estrinsecarsi anche da svegli”.
Perché lei considera questa l’attività più significativa e dirimente?
“Il bracing è la forma di bruxismo più importante perché è in assoluto quella più strettamente correlata alle più frequenti conseguenze cliniche che lamentano i nostri pazienti. Il dolore all’articolazione temporo-mandibolare, ai muscoli masticatori e certe forme di cefalea tensiva hanno in questa attività anomala di bracing il principale fattore di rischio. La riprova della validità di questa ipotesi è che molte terapie per il bruxismo sono incentrate sull’acquisizione di una consapevolezza comportamentale durante lo stato la veglia e spesso funzionano per la riduzione dei sintomi senza che ci sia bisogno di nessun altro accorgimento terapeutico. Si insegna ai pazienti a cercare di tenere rilassata la muscolatura e, pian piano, i sintomi di affaticamento, di indolenzimento muscolare e di dolore all’articolazione diminuiscono. Esistono addiritttura applicazioni per smartphone dedicate che sono utilissime in tal sensso”.
Quali sono le cause di queste attitudini anomale?
“Intanto abbiamo capito che le cause vanno studiate, assumendo, come riferimento, non solo la notte, ma l’intero arco della giornata. Restringere il bruxismo al digrignamento notturno dei denti è un approccio parziale, limitativo e, in qualche misura, fuorviante, anche perché, come sappiamo, noi dedichiamo al sonno molte meno ore che alla veglia. La ridefinizione dello spazio temporale del bruxismo è stata di fatto la testa di ponte fra il passato lacunoso e quell’opera di proporzioni immani, me lo lasci dire, e di una rilevanza senza precedenti, venuta alla luce nei primi mesi del 2024, che si chiama Standardized Tool for the Assessment of Bruxism (STAB). Lo STAB è uno strumento standardizzato per la valutazione del bruxismo, la cui creazione ha coinvolto più di venti autori provenienti da tutto il mondo scientifico internazionale. Uno strumento modernissimo e multidimensionale, che è incentrato sulla combinazione di domande, esami clinici e valutazioni strumentali. Queste ultime, in particolare, è bene ricordare che devono essere eseguite in forma di registrazione prolungata dell’attività muscolare, possibilmente senza soluzione di continuità, giorno e notte, e non certo solamente per pochi secondi sulla poltrona dell’odontoiatra”.
Tornando alle cause del bruxismo ampiamente inteso cosa possiamo dire?
“Una volta definito lo standard universale di valutazione e di definizione del bruxismo, il passo successivo che ci siamo proposti, è stato proprio quello di andare a indagare e a distinguere le singole cause delle varie attività del bruxismo. Il serramento, che sia notturno o diurno, riconosce, come causa principale, l’aspetto psicologico. Parliamo, quindi, di persone ansiose, molto emotive, in difficoltà nel gestire lo stress. Il bruxismo più complesso, quello delle persone che di notte digrignano, muovono la bocca e hanno un sonno irrequieto, è associabile a tutte le condizioni che interrompono l’architettura del sonno e ne compromettono l’armonia. È molto attuale, ad esempio, l’attenzione per le apnee notturne e per il fenomeno del reflusso gastroesofageo, al punto che un paziente trattato per le apnee notturne spesso smette di bruxare. Si può, quindi, da un lato insegnare ai pazienti a rilassarsi, dall’altro spronarli a sottoporsi a una valutazione medica approfondita delle possibili cause sottostanti il bruxismo”.
Quale messaggio si sente di rivolgere ai pazienti?
“Quello più utile credo sia quello di dire forte e chiaro ai pazienti che con il bruxismo i denti non c’entrano niente. La malocclusione non ha un ruolo determinante per l’insorgenza di bruxismo, e non lo ha neanche per la presenza di dolori ai muscoli del volto o all’articolazione temporomandibolare. I denti (o le ricostruzioni protesiche) si possono rompere o usurare, se il paziente bruxa, ma non sono mai la causa del bruxismo. In passato, purtroppo, anche sulla spinta di molti odontoiatri, forse inconsciamente mossi dalla possibilità di accrescere il proprio raggio di azione, si era portati a pensare che il paziente digrignasse ai denti per anomalie insite nell’occlusione dentale. È stato ampiamente dimostrato che tutto questo non ha nessun supporto scientifico. A tutela dei pazienti che rischiano di subire trattamenti invasivi ed economicamente impegnativi incentrati sulla correzione della dentatura, è bene sottolinare, per essere ancora più chiari, che ciò è completamente falso. Quello che un paziente deve fare, in caso di sospetto bruxismo o della presenza di sintomi al volto, è rivolgersi ad un esperto in bruxismo e dolore orofacciale, quali quelli del Gruppo di Studio Italiano Dolore Orofacciale e Disordini Temporomandibolari (GSID)”.